15.Un' antica civiltà

da Fosco Maraini, Giappone e Corea, De Agostini, 1978

Chi sono i Coreani? La domanda non è ardua. Un notissimo mito fa dell'eroe Tangun il fondatore della stirpe e della civiltà coreane; Tangun, precisa il mito, era figlio di un'orsa tramutata in donna, motivo questo che ci ricollega al culto della grande belva boreale caratteristico di numerose popolazioni nordiche dell'Eurasia, dalla Siberia orientale alla Svizzera arcaica. 1 Coreani, in altre parole, sono fondamentalmente genti che hanno invaso ed occupato la penisola provenendo da nord, dai vasti spazi di quelle che oggi sono Manciuria, Mongolia, Siberia. 


In questo siamo confortati anche dall'analisi linguistica. Il coreano, come il giapponese al quale si ricollega per molte somiglianze di fondo, anche se poco appariscenti, è diversissimo dal cinese; il consenso pressoché unanime degli esperti fa del coreano un ramo della grande famiglia altaica, cui appartengono inoltre il tunguso-mancese, il mongolo e la pleiade delle favelle turche. Nel coreano, come nel giapponese, sono cospicui i fenomeni d'agglutinazione; si formano cioè dei composti i cui elementi di base restano facilmente riconoscibili. Tanto per dare un'idea, esempi italiani d'agglutinazione potrebbero essere le espressioni dagliene, facciamoglielo, eccetera. li coreano è stato scritto durante secoli per mezzo degli ideogrammi cinesi. Ricordo che questo è possibilissimo in quanto l'ideogramma esprime una nozione più che un vocabolo, e può essere letto in qualsiasi lingua, come i nostri numeri: 32 può pronunciarsi trenta-due, trente-deux, thirty-two, zwei und dreissig, e via dicendo, similmente il segno che significa oriente può leggersi tung (in cinese), tong (in coreano), to (in giapponese). Dal XV secolo in poi il coreano è stato anche scritto con un proprio sillabario, lo hangui; oggi si tenta di farne uso esclusivo, non senza però incontrare notevole resistenza. 
Sporadici elementi meridionali fanno parte anche dei complesso culturale coreano; si suppone siano pervenuti nella penisola tramite migrazioni marine di genti che abbiano costeggiato il continente e la Cina provenendo dall'Asia di Sud-Est. Mentre nel caso Giapponese si trattava di un complesso in cui prevale il sud, qui siamo di fronte ad un incontro più semplice, nel quale prevale il nord. A simile conclusione conducono anche i reperti dell'archeologia, per adesso poco sviluppata, gli studi dell'antropologia fisica, e quanto si può dedurre dalle ricerche d'antropologia culturale. 
Se il mito delle origini, con l'orsa che fa da madre totemica alla stirpe, ci ricollega in qualche vago modo all'immenso settentrione del continente eurasiatico, altre notizie, forse più leggendarie che storiche, ci parlano dell'eroe culturale cinese Ch'i-Tsu (in coreano Ki-ja) il quale, insieme a cinquemila seguaci, avrebbe fondato una dinastia neiìa Corea settentrionale un buon millennio avanti Cristo. Il paese, retto da questa favolosa dinastia per molti secoli, fu noto con nome di Choson, «Splendore del Mattino», nome che del resto ha corso ancora oggi, per indicare la Corea, sia in cinese (Chaohsien), sia in giapponese (Chosen). Ki-ja ed i suoi avrebbero portato gli abitanti della penisola ad un alto grado di civiltà; i particolari della leggenda hanno poca importanza, l'essenziale è che viene così messa in luce l'azione civilizzatrice profonda ed estesa che ebbe sulla Corea la grande vicina meridionale, la Cina. 
Altri gruppi importanti di Cinesi fuggirono in Corea durante la breve e tirannica dinastia Qin (III secolo a. C.); si trattava in parte di popolani esuli per sfuggire ai lavori forzati della Grande Muraglia, in parte di appartenenti alle classi dirigenti, che volevano evitare le persecuzioni cui erano soggetti i confuciani. Col I secolo a. C. la dinastia Han, in forte espansione, incorporò gran parte dei territori di Choson fondando varie colonie, la più importante delle quali fu la città di Loiang, sul Mar Giallo, non lontana dall'odierna Pyongyang. Per ben tre secoli questa sede amministrativa fu centro d'irradiazione per la cultura cinese, anche quando l'influsso politico andò scemando, mentre varie popolazioni di stirpe tungusa e mancese, gli ' Yermak, gli Ok-cho, i Puyo ed altri ancora, calavano con baldanza dal nord. Scavi archeoiogici, coi ritrovamento di finissime opere d'arte (giade incise, lacche polierome, ecc.) hanno confermato quanto fosse fecondo quest'incontro cino-coreano. 
Coll'inizio dell'era volgare siamo agli albori della storia. 


Mentre il dominio cinese andava restringendosi sempre più intorno alla colonia di Loiang, sulla penisola si affermavano alcuni regni di notevole importanza: Paekche (o Kudara) a sud, rivolto verso il Mar Giallo, Silla (o Sbiragi) a sud-est, prospiciente il Mar dei Giappone, e Koguryo (o Korna) a nord. Paekche fu il più debole, ma anche il più civile dei tre; i suoi legami coi Giappone appaiono straordinariamente intimi, proprio durante il periodo cruciale in cui andavano costituendosi l'etnìa e lo stato giapponese, periodo nel quale vorremmo vedere più chiaro di quanto sia adesso possibile. 
Se nelle epoche più remote, cioè nel neolitico e per buona parte dell'eneolitico, la Corea, per la sua frammentazione geografica ed etnica, funzionò come un ostacolo alla diffusione della civiltà cinese in Giappone, in tempi più vicini a noi, da quando si costituirono i tre regni, essa divenne.invece un autentico ponte lungo il quale transitarono di continuo portatori di idee, tecniche, arti. Sappiamo che lo stato di Paekche aveva ufficialmente adottato la scrittura ideografica cinese dal 374 d. C.; dieci anni più tardi si ha notizia d'una diffusione di culti buddisti; Paekche fu noto inoltre per i suoi medici ed i suoi musici, per i suoi specialisti in cronografia (calendari) ed in varie forme di divinazione. La protostoria del tempo è complessa e confusa, specie nei secoli 111 e IV d. C. quando si ebbero innumerevoli movimenti di popoli che premevano dal nord, dalla Manciuria e dalla Mongolia, sulla Cina settentrionale; anche la Corea fu investita dalla tempesta e sembra che i Puyo, originari della Manciuria, occupassero il Paekche costituendovi una loro dinastia. Per un certo periodo le sponde meridionali della Corea e quelle occidentali del Giappone fecero parte d'un unico dominio, di un'autentica talassocrazia, di cui si intravedono appena dimensioni ed  eventi attraverso un misto di leggenda e notizie protostoriche, e tavolta pseudostoriche. Ricerche future, si spera, sintetizzeranno quanto è possibile estrarre dalle fonti giapponesi, coreane, cinesi, quanto si può confortare coi reperti dell'archeologia, dandoci un quadro più puntualizzato e preciso. E' in esso, tra l'altro, che si celano i particolari di quella «conquista» del Giappone da parte di nuclei di guerrieri e cavalieri tunguso-coreani, forse di stirpe Puyo, che molti ipotizzano sia avvenuta tra la fine del IV secolo ed i primissimi decenni dei V secolo d. C., e che spiegherebbero in modo tanto significativo l'apporto di elementi culturali nordasiatici nel complesso dell'etnìa isolana, e di elementi altaici nella lingua giapponese. 
Le strettissime relazioni tra Corea e Giappone del tempo sono state recentemente confermate e poste in nuova luce dalla scoperta di una tomba nelle vicinanze di Nara, il Takainatsu-tsuka, che si presume risalga alla fine dei VI secolo o agli inizi dei VII. I suoi affreschi, di altissima qualità, non rivelano influssi buddisti, raffigurano invece gli animali magici della cosmologia sino-coreana dei tempo: la tigre bianca, il drago, la tartaruga coi serpente, ed altri ancora. Numerose figure umane vestono splendidi costumi di corte che ricordano le immagini sia della famosa tomba «delle Due Colonne», non lontana da Pyongyang, sia quella della principessa Yung-t'ai a Liangshan, in Cina. Ricerche in corso potranno precisare ulteriormente il significato di questa straordinaria scoperta. 
Come avvenne in Giappone, il Buddismo ed il Confucianesimo, nella loro diffusione dai centri cinesi, incontrarono già viva nel popolo coreano una forma di religiosità, meno sviluppata dello Shinto giapponese, ma non dei tutto dissimile; e come avvenne in Giappone, le religioni, le filosofie più elevate e complesse, non schiacciarono o cacciarono la fede più arcaica e primitiva, ma s'adattarono a convivervi in un permanente, e talvolta fruttuoso, compromesso anzi in una vera simbiosi. Nella religione popolare coreana troviamo molti aspetti che ci sono già familiari dallo studio dello Shinto: ecco i numi degli alberi, delle montagne, dei passi, delle acque, dei mare, dei campi e della casa, ecco eroi della stirpe, ecco antenati deificati. I particolari e le enfasi sono diversi, eppure traspare un fondo che suggerisce lontanissime origini comuni. Certo la religione popolare coreana non s'è mai organizzata come lo Shinto in Giappone, non è divenuta una religione della dinastia e dello stato, è rimasta piuttosto al livello di fede inarticolata dei popolo. Un'altra differenza consiste nella maggiore importanza che viene data, tra i Coreani, ai fenomeni di sciamanesimo, soprattutto femminile; spesso la religione popolare coreana viene addirittura identificata con questi fenomeni d'invasamento, d'invocazione di numi benefici o maligni, di spiriti dei defunti e così via, che sono ancora molto frequenti nelle campagne.


Il Buddismo ebbe notevole sviluppo soprattutto durante il periodo del predominio di Silla (VII-X secolo) ed in quello di Koryo (X-XIV secolo). Più tardi il Confucianesimo dominò sovrano. Anche il Taoismo ebbe una certa diffusione. In complesso il quadro religioso al quale nei secoli più vicini a noi s'è aggiunto il Cristianesimo è ancora più vario che in Giappone; mancarono però personalità di primo piano che operassero un autentico adattamento nazionale delle grandi fedi e dei sistemi di pensiero sorti in India e in Cina.
Il panorama coreano è perciò nell'insieme, più conformista, meno originale.

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