21. Počitelj – Erzegovina (2014)

 di Stefano Cammelli


Dall’alto della fortezza di Počitelj, a fine giornata. Sotto di noi, nel fondo valle, il fiume Neretva. Il silenzio dell’ora, il tramonto ormai iniziato, le rovine abbandonate della fortezza e cittadina ottomana. Difficile sfuggire a qualcosa che assomiglia a malinconia.


By Pudelek (Marcin Szala) - Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11826952

Bionda, giovane, preparata: Đenita H. insegna a Sarajevo e per un giorno ha accettato di accompagnarmi a Mostar, alla tekke* di Blagaj. Sediamo su un muretto prima di ripartire per Sarajevo. 

“Sai, la guerra e tutto quello di orribile che abbiamo dovuto vivere qui ha in qualche modo cancellato tutto quello che eravamo, che siamo. La Bosnia e l’Erzegovina sono diventate una questione di diritti umani, di difesa di una popolazione. Tutto giusto, tutto doveroso. Ma qui c’era molto di più che non una popolazione da proteggere. E anche ai miei amici serbi e croati io dico e vorrei dire… che c’era una grandezza disponibile per tutti, capisci? Che senso ha rinunciare alla bellezza e alla profondità di una cultura in nome di una contestabilissima identità nazionale? Me lo spieghi? Sarebbe come se tu ti rifiutassi di parlare inglese e di leggere Moby Dick perché sei italiano.”

Ha iniziato stamane a Mostar, parlando di uno dei più grandi poeti della città, Ahmed Rushdi Mostari (1637-1699), autore di una raccolta (divan) di poesie in cui compaiono testi scritti in persiano.

Ha proseguito nella bella dimora sufi di Blagaj, un gioco continuo di rimandi. Al tempo stesso ubriacanti e seducenti. Si muove nello spazio geografico e nei tempi letterari come se il suo sia un mondo senza confini e limiti di tempo.

 

By Mediha, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3295653

“Queste persone leggevano i testi di Rumi, il mistico di Konya. Ma sai anche tu che Rumi non era il suo nome, Rumi stava a significare ‘il Romano’ perché come tale lo vedevano gli orientali, un autore ormai occidentale. Dove sono i confini, Stefano, dove sono in questo mondo che spazia dal Tajikistan alla Cina, all’Adriatico? Come si fa a non comprendere che avere qui – lungo il corso della Neretva, a due passi dalla costa che è Venezia - … avere qui la grandezza della poesia e della cultura persiana è un’immensa possibilità? Come si fa a non capirlo?”

Per più di quattro secoli – spiega – durante il dominio ottomano in Bosnia-Erzegovina – i letterati parlavano tre lingue. Il turco ottomano era la lingua ufficiale, dell’amministrazione e dell’istruzione. L’arabo era la lingua della teologia, del diritto e delle opere accademiche. Il persiano era la lingua della letteratura, della poesia e del sufismo.

“La ricchezza letteraria di queste terre sembra quasi un faro, quello più occidentale. A est la grandezza di Shiraz, a ovest Mostar e Sarajevo… un contributo imponente alla letteratura dell’umanità, sviluppato in quattro lingue: turco ottomano, arabo, persiano e bosniaco.”

Non si dà pace. Tortura i capelli biondi che le ricadono continuamente sul viso. Scuote la testa: ora guarda in lontananza, all’orizzonte. Ora fruga nervosamente nella borsa, alla ricerca di un fazzolettino.

“Essere invitati a una grande festa a Venezia o a Istanbul non preclude che tu possa gioire della sagra del tuo paese. La cultura è condivisione, non è un confine. Si può essere tutto – croati, cattolici, serbi, ortodossi – e godere ugualmente della poesia, della letteratura.”

Non rispondo, io stesso non capisco.

O forse è necessariamente così, quando certi confronti sembrano improponibili e uno teme di essere infinitamente piccolo rispetto a qualcosa di troppo più grande. Non è facile vivere insieme a un grande padre, un grande professore, una grande cultura. Alcuni temono di perdere sé stessi, hanno bisogno di scappare. E più l’altro li insegue e cerca il dialogo, più scappano: irrigiditi e impauriti.



* Tekkè s. turco [dal pers. takyè, propr. «luogo di riposo», passato anche all’arabo takiyya], usato in italiano al maschile. Nome dei conventi dove vivono in comune gli affiliati alle confraternite religiose musulmane. (Treccani)

 


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